Dare una definizione, o meglio darsi una definizione, riguardo all’essere sordi non è semplice.
Volgendo uno sguardo al panorama, è disorientante notare che esistono più definizioni, a seconda della prospettiva con la quale si guarda la sordità.
Siamo abituati a dare etichette partendo dalle mancanze, risaltando cosa il deficit comporta.
Esistono diverse definizioni della sordità, come quelle proposte dalla prospettiva biomedica (“audioleso”, “ipoacusico”, ecc…), orientata sul deficit sensoriale, o dalla prospettiva antropologica (“sordo”), collegata allo status culturale.
Ma quale definizione è giusta?
In realtà non è nell’interesse determinare quale definizione sia più consona, ma di essere consapevoli di come definiamo e percepiamo la sordità.
Infatti, a partire da come la si definisce, abbiamo informazioni circa la sua percezione.
Informazioni da cogliere: possono rivelarci diverse sfaccettature, anche quelle più nascoste, come, per esempio, capire come il genitore percepisce e vive la sordità di un figlio.
Essere sordi significa, comunque per tutti, oralisti o segnanti, impiantati o meno, avere un diversa percezione del Mondo. Quindi, ne consegue una diversa modellazione cognitiva. Ed anche una peculiare modalità relazionale. Ed ancora, una particolare reazione emotiva al Mondo.
Al di là delle etichette.
Essere sordi è una condizione che comporta conseguenze non solo sul piano fisico, ma anche psicologico.
Ed esserne consapevoli è utile per avere strumenti per ovviare alle possibili difficoltà. Puntando l’attenzione verso il potenziale che è in ognuno di noi, è possibile realizzare soddisfacenti obiettivi.
Molteplici sono gli esempi di persone svantaggiate che, nonostante la loro situazione, hanno raggiunto dei risultati impensabili. Sono persone che non si sono fermate di fronte alla concezione pietistica della propria condizione. Sono persone che si vivono e si propongono alla società come “persone”, in primis.
Al di là delle etichette.
Pensare alla sordità come handicap significa orientare l’attenzione verso il limite che la situazione pone e di pensare a quello “che potrebbe, ma…”.
Invece, pensare alla sordità come una condizione psicofisica in sé, senza “se” e senza “ma”, o meglio senza “potrebbe, ma…”, invita a volgere l’attenzione a quello che si può fare per migliorare la qualità di vita e dare/darsi delle concrete e soddisfacenti possibilità.
Al di là delle etichette.
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